mercoledì 10 giugno 2009

Cenni storici sul diritto di resistenza

Il processo di discussione intorno all’origine del potere sovrano implica la necessità di esplicitarne, con la legittimità, il grado di possibile resistenza da parte del popolo. Locke con grande finezza impugna la discussione precedente inserendo alcuni distinguo destinati ad avere ripercussioni politiche molto serie.

Tra le celebri prese di posizione sulla liceità di resistere al potere sovrano – che ovviamente in quanto potere supremo può presentarsi o degenerare ad un certo punto in forme di potere tirannico o dispotico – è quella di Tommaso d’Aquino, il quale, nella Summa Theologiae, si pronuncia a favore, in casi eccezionale, del diritto di resistenza; infatti, pur non potendo approvare alcuna forma di seditio, Tommaso ammette che se il potere, che deriva da Dio e deve esprimere l’ordine razionale dell’Essere nell’esercizio quotidiano della Giustizia, dovesse divenire abuso da parte di chi lo esercita allora, al solo fine di ristabilire l’ordine voluto da Dio, sarebbe lecito resistere, in casi estremi persino in modo violento. Sebbene Tommaso riconosca la disobbedienza come il più grave tra i peccati, come vuole la lettura di s.Paolo (Rm, 13), è pur vero che s.Pietro, in Atti, 5, 29, afferma che si deve obbedire a Dio prima che agli uomini. Venuta a mancare dopo la controversia luterana l’univoca certezza della mediazione pontificale, che potesse arbitrare le questioni a sfondo religioso, decidere cosa volesse Dio, specialmente in politica, era divenuta faccenda spinosa.

Meno celebre ma influente per secoli, Étienne de LaBoétie, prematuramente scomparso all’età di 33 anni, amico di Montaigne che ne curò nel 1580 l’edizione delle opere dopo la morte, aveva lasciato ai posteri un breve saggio intitolato Discorso sulla servitù volontaria, o Contr’Uno, nel quale la problematica semplicemente non più è posta; l’uomo naturalmente è libero e può sempre tornare a godere di tale libertà, semplicemente sottraendo consenso al governo in carica il quale così verrebbe a scomparire, restituendo all’uomo la sua libertà. Anche il pensiero medievale suggeriva di sottrarre il consenso al tiranno ma solo per obbedire a Dio, restando quindi in un ordine strettamente gerarchico; l’impostazione di LaBoétie rivela tutta la crisi di delegittimazione dell’ordine della politica. In un certo senso il suo pensiero torna di moda durante la rivoluzione inglese che portò al protettorato di Oliver Cromwell. I levellers, in particolare Richard Overton, si fecero portavoce di quest’intento di potenziale continua destabilizzazione sociale, dovuta alla convinzione che tutti gli uomini, creati uguali da Dio, possano deputare ma mai cedere il loro diritto naturale su sé stessi all’autorità sovrana; e quindi, con un cosiffatto consenso, potenzialmente in qualunque momento, possano riprenderselo. Sebbene questo non fosse il loro intento, Hobbes, che di sé stesso diceva d’essere “gemello della paura”, pensò d’impostare una costruzione teorica che a simili critiche risultasse inattaccabile.

Bibliografia essenziale:

LaBoétie, E. de, Discours de la servitude volontaire ou Contr'un (trad. it. Discorso sulla servitù volontaria, a cura di U.M. Olivieri, Torino, La Rosa, 1995 )

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