lunedì 15 giugno 2009

Il Contrattualismo razionalistico moderno dispiegato

Come visto nel post precedente, Hobbes è l’interlocutore polemico di John Locke. Egli certamente ne apprezza – e sa sfruttare - l’impianto razionalistico che seda ogni potenziale conflitto religioso/politico, e permette la costruzione di uno Stato ben organizzato, ma non può accettarne le estreme conseguenze. Si consideri un fatto; Locke era un ricco possidente, politicamente attivo, con interessi nelle colonie americane, al punto che contribuì a redigere la costituzione della Carolina. Come molti suoi contemporanei, cambiate le circostanze storiche, aveva interessi ben al di là della mera conservazione della vita; nel Secondo Trattato parla di salvaguardare vita beni e libertà, ovvero la proprietà. Dal suo punto di vista, lo stato di natura è molto più amichevole di quello hobbesiano; ma ciò che rende convincente la necessità di uscirne con una pattuizione collettiva è la salvaguardia di questo collettivo di proprietà individuali, poiché in natura tutti possono aggrapparsi alla legge naturale – ciò che possa esservi di più distante dal diritto naturale, il diritto di ciascuno su qualunque cosa laddove la legge di natura è un comando razionale che impone, per la salvaguardia della vita dell’interessato il non recare danno ad altri – e poiché ognuno, quando è giudice in causa propria tende alla parzialità, per creare un arbitrato oggettivo che tuteli gli interessi degli individui questi stessi formulano un patto che da origine allo Stato, il quale comunque non gode diritti sulle proprietà dei cittadini, ed è articolato su molteplici livelli di garanzia; il primo, il vero e proprio patto, un compact, o agreement, origina lo Stato; questo poi è governato da un legislativo con cui i cittadini stabiliscono un patto fiduciario che potremmo definire di secondo grado, un trust, e successivamente l’esecutivo è stabilito con un accordo di allegiance, ognuno dei quali presenta un maggiore grado di resistibilità politica in caso di cattiva condotta verso i cittadini. In ogni caso, nella costruzione lockiana ciò che verrebbe a cadere è il governo, giammai lo Stato, poiché la resistenza opera contro il legislativo incarnato dai legislatori, non nella sua astrazione.
Individuato l’errore teorico hobbesiano – è impossibile una concezione politica in cui sia vietato resistere a qualunque livello a un malgoverno – Locke procede alla separazione concettuale del vecchio dibattito sul diritto di resistenza – che bisogna porre ai margini della società civile – e quella che definisce semplice disobbedienza; e per fare ciò opera una divisione dello spazio atlantico, distinguendo tra le possibilità continentali e quelle coloniali. Perché lo Stato moderno possa funzionare senza incepparsi, esso non può essere il meccanismo storicamente esistente e palesemente difettoso che tutti tentano di attaccare, bensì un’eccezione, che per esser tale necessita di una norma, discutibile, che Locke individua appunto nelle colonie.
Non va perso di vitsa che quello lockiano è, nelle sue intenzioni, un modello teorico, auspicabilmente realizzabile ma che non conosce, al momento della stesura del Secondo trattato, alcuna realizzazione storica. Il fatto che poi le colonie americane, da Locke viste come wilderness da domare, abbiano successivamente sfruttato le sue teorie, è una circostanza storica che esula dalle intenzioni dell'autore, che si riferiva piuttosto allo Stato europeo.
INfatti quando parla di giustificabile disobbedienza egli si riferisce appunto allo spazio coloniale. Non è infatti mai possibile, sostiene, tollerare all’infinito un governo che sia usurpazione o mera conquista neppure se tale conquista sia il frutto di una giusta guerra. Prima o poi gli oppressi disobbediranno al governo loro imposto, rovesciandolo se possono; al contrario, nello Stato uscito dal patto, l’obbedienza sarà doverosa, e dove non fosse, sarà un’eccezionale resistenza che riconosce che qualcosa, nel processo d’ordine razionale avviato ad istituire lo Stato, si è guastato; al che, al fine non di destabilizzare – conseguenza della disobbedienza – bensì di ripristinare l’ordine precedente sarà lecito resistere, e tale resistenza, storicamente, si manifesterà nelle forme della rivoluzione, che però, in quanto tale, è un’eccezione ed il cui fine, questo è il punto, è istituente.

Chi potrà mai decidere se il patto è stato violato al punto da dare avvio ad una ribellione? La maggioranza; l’introduzione di questo principio è un grande contributo del pensiero lockiano rispetto a quello hobbesiano (ove la volontà sovrana è unitaria). Lo stesso appello al cielo a cui più volte Locke riferisce è una metafora per l’applicazione del diritto di resistenza; se nessun giudice sulla terra è atto a giudicare allora si può solo agire, appeal to Heaven, e le conseguenze storiche – di successo o fallimento – riveleranno se si era nel giusto, laddove giusto nient’altro significa che dare espressione alla volontà della maggioranza.

Nel prossimo post intendo affrontare più nel dettaglio questi punti che, nel loro sviluppo storico, come ho già accennato, sono parte integrante della piattaforma reale su cui sono sorti gli Stati Uniti d’America.

Bibliografia essenziale:

Locke, J., An Essay Concerning the True Original, Extent, and End of Civil War (trad.it. Il Secondo Trattato sul governo, introd. Di Tito Magri, trad. di Anna Gialluca. Milano, BUR, 1998). La presente traduzione si basa sul testo inglese curato da Peter Laslett, Two Treaties of government , Cambridge, 1960, 1967

Manti, Franco, Locke e il costituzionalismo. In appendice: Costituzione della Carolina antica­Antica costituzione inglese, Name edizioni, 2004

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